"Ubi ergo Petrus, ibi ecclesia; ubi ecclesia, ibi nulla mors, sed vita eterna".
“Onde está Pedro, aí está a Igreja; onde está a Igreja aí não há morte, mas a vida eterna”.
Santo Ambrósio, Enarrationes in XII Psalmos davidicos; PL 14, 1082
“Onde está Pedro, aí está a Igreja; onde está a Igreja aí não há morte, mas a vida eterna”.
Santo Ambrósio, Enarrationes in XII Psalmos davidicos; PL 14, 1082
quarta-feira, 21 de novembro de 2007
ITALIA: EXPLOSÃO DE PEDIDOS PARA O RITO TRIDENTINO
L´INCHIESTA
Messa in latino molti la vogliono pochi la sanno
MARIA CRISTINA CARRATU´
LA PRIMA in assoluto è stata la parrocchia dello Spirito Santo a Prato, il 14 settembre scorso, primo giorno utile indicato dal Motu Proprio di Benedetto XVI. Nella Chiesa addobbata per le grandi occasioni il parroco don Enrico Bini, paramenti dorati e spalle ai fedeli, ha esordito con il suo «In nomine Patris, et Filii, et Spiritui Sancti…». E da lì in poi è stato tutto un pullulare. Una inedita «mappa della fede» sta prendendo forma in Toscana: quella delle chiese e delle parrocchie dove da luglio scorso, quando il Motu Proprio del Papa l´ha tolto dalla «riserva indiana» in cui era stato confinato dopo il Concilio Vaticano II, si celebra messa (o si sta per farlo) secondo l´antico rito romano, in latino e secondo la liturgia stabilita nel 1570 dalla bolla di Papa Pio V, appena modificata nei secoli successivi. Per chi immaginava che robusti anticorpi potessero scoraggiare ritorni del genere in una regione di radicata tradizione cattolico-democratica, una vera sorpresa. Oltre a Prato, ecco San Martino a Paperino, dove col rito tridentino dice messa il giovane don Gestri, e Massa Carrara (Pieve di Offiano, parrocchia di San Matteo a Casalina), Viareggio (fra poche settimane), perfino Livorno (fra poco alla parrocchia di San Ferdinando alla Crocetta), Barberino Val d´Elsa.© Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007
Toscana voglia di latino la messa torna all´antico Sorpresa:
le parrocchie chiedono il vecchio rito
Crescono le comunità in cui si celebra la liturgia pre-Concilio Eppure i vescovi non sono in linea con Benedetto XVI Non solo anziani cultori: la novità è che piace ai giovani
MARIA CRISTINA CARRATUA
Siena sono in fermento i cavalieri della Militia Templi che fa capo al Castello della Magione, mentre a Pisa si muove (per ora però bloccato dalla Curia) il Comitato San Pio X di giovani Normalisti. E non è da meno Firenze, dove alla chiesa di San Michele e Gaetano, in piazza Antinori, si sta concordando con la Curia una celebrazione stabile. E da gennaio, i frati dell´Immacolata officeranno alla Chiesa di Ognissanti. In provincia già si celebra a Santa Maria a Cafaggiolo e alla parrocchia di Vaglia, con il prete argentino Alejandro Vita, e a San Donato in Poggio, mentre a Certaldo è in corso un braccio di ferro (vedi articolo qua sotto). Novità nella novità, la presenza, oltre ad una cospicua area di anziani cultori del vecchio rito, di giovani. Ciò che fa gridare «al miracolo» i vecchi accoliti: «Il nostro baluardo liturgico è dunque servito a qualcosa» dice il conte Neri Capponi, presidente onorario dell´Associazione «Una Voce Italia» per la difesa della liturgia gregoriana. E´ vero che la tradizione tridentina, a Firenze, non si è mai interrotta del tutto. A San Francesco Poverino, in piazza Ss. Annunziata, la messa domenicale col rito di Pio V, concessa dagli indulti papali degli anni ‘80, è un´antica consuetudine, mentre l´Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote di Gricigliano (Le Sieci) è da anni riferimento internazionale della liturgia gregoriana. Ma si trattava, appunto, di enclave, eccezioni tollerate. La vera novità sono le comunità che adesso aspirano a una cittadinanza, quelle già esistenti e costrette a celebrare qua e là messe non ufficiali, e soprattutto le nuove. Come quella di San Gaetano, un´ottantina di fedeli fra cui il barone Giovanni Ricasoli Firidolfi, ma anche il presidente dei giovani giuristi cattolici Antonio Bellizzi, un consigliere comunale di Forza Italia di Vinci, e giovani laureati, impiegati, commessi, ceto medio qualunque. Non «nobiltà nera» in vena di revanche, insomma, sostiene il diacono Roberto Donati, «ma persone che semplicemente desiderano una liturgia più consona alla loro sensibilità». E chissà che «il ritorno al rito antico non nasca proprio dalle derive di improvvisazione seguite al Concilio». Certo è che il fermento tradizionalista sfida una linea pastorale ufficiale che, in Toscana, non sembra affatto favorevole al Motu Proprio. Al punto che c´è chi considera rivolta anche ai vescovi toscani la denuncia della Congregazione per il culto divino, che nei giorni scorsi ha tuonato contro la «crisi di obbedienza verso il santo padre», in atto «in alcune nazioni e diocesi». Già ad aprile, durante la visita ad limina, i vescovi toscani avevano consegnato alla Congregazione un testo approvato dalla Conferenza episcopale regionale contrario all´annunciato Motu Proprio, il quale, si sosteneva, avrebbe prodotto solo «confusione» pastorale. A Pisa, l´arcivescovo Plotti ha poi diffuso una nota in cui, sebbene il Motu Proprio per la prima volta attribuisca ai parroci la facoltà di dire messa col rito antico, ricorda che il referente ultimo resta pur sempre lui. I sostenitori del rito tridentino ne sono convinti: «I vescovi temono solo di perdere potere» sostiene il conte Marcello Cristofari della Magione, «di fronte a chi ora può finalmente contestare il ‘disagio liturgico´ cresciuto nelle loro diocesi». Ma in prima istanza, ad alimentare le resistenze è certamente la salda sensibilità «conciliare» della Toscana. E il sospetto, come avverte Plotti, «che dietro il vessillo di Pio V si nasconda un atteggiamento culturale di fondo, che si esprime nella fede, ma anche politicamente». Insomma, la pericolosa idea di una Chiesa che «corrotta» dal Vaticano II, si tratterebbe ora di far rientrare nella corretta dottrina. Negando il Concilio. Che però, in Toscana, oltre che fra i vescovi, ha messo ben salde radici. Come dimostra l´episodio avvenuto giorni fa in una chiesa del Chianti. Dove, al prete che mostrava come si celebra la messa in latino, spalle all´assemblea, un fedele ha chiesto preoccupato: «Ce l´hai con noi?». © Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007
Messa in latino molti la vogliono pochi la sanno
MARIA CRISTINA CARRATU´
LA PRIMA in assoluto è stata la parrocchia dello Spirito Santo a Prato, il 14 settembre scorso, primo giorno utile indicato dal Motu Proprio di Benedetto XVI. Nella Chiesa addobbata per le grandi occasioni il parroco don Enrico Bini, paramenti dorati e spalle ai fedeli, ha esordito con il suo «In nomine Patris, et Filii, et Spiritui Sancti…». E da lì in poi è stato tutto un pullulare. Una inedita «mappa della fede» sta prendendo forma in Toscana: quella delle chiese e delle parrocchie dove da luglio scorso, quando il Motu Proprio del Papa l´ha tolto dalla «riserva indiana» in cui era stato confinato dopo il Concilio Vaticano II, si celebra messa (o si sta per farlo) secondo l´antico rito romano, in latino e secondo la liturgia stabilita nel 1570 dalla bolla di Papa Pio V, appena modificata nei secoli successivi. Per chi immaginava che robusti anticorpi potessero scoraggiare ritorni del genere in una regione di radicata tradizione cattolico-democratica, una vera sorpresa. Oltre a Prato, ecco San Martino a Paperino, dove col rito tridentino dice messa il giovane don Gestri, e Massa Carrara (Pieve di Offiano, parrocchia di San Matteo a Casalina), Viareggio (fra poche settimane), perfino Livorno (fra poco alla parrocchia di San Ferdinando alla Crocetta), Barberino Val d´Elsa.© Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007
Toscana voglia di latino la messa torna all´antico Sorpresa:
le parrocchie chiedono il vecchio rito
Crescono le comunità in cui si celebra la liturgia pre-Concilio Eppure i vescovi non sono in linea con Benedetto XVI Non solo anziani cultori: la novità è che piace ai giovani
MARIA CRISTINA CARRATUA
Siena sono in fermento i cavalieri della Militia Templi che fa capo al Castello della Magione, mentre a Pisa si muove (per ora però bloccato dalla Curia) il Comitato San Pio X di giovani Normalisti. E non è da meno Firenze, dove alla chiesa di San Michele e Gaetano, in piazza Antinori, si sta concordando con la Curia una celebrazione stabile. E da gennaio, i frati dell´Immacolata officeranno alla Chiesa di Ognissanti. In provincia già si celebra a Santa Maria a Cafaggiolo e alla parrocchia di Vaglia, con il prete argentino Alejandro Vita, e a San Donato in Poggio, mentre a Certaldo è in corso un braccio di ferro (vedi articolo qua sotto). Novità nella novità, la presenza, oltre ad una cospicua area di anziani cultori del vecchio rito, di giovani. Ciò che fa gridare «al miracolo» i vecchi accoliti: «Il nostro baluardo liturgico è dunque servito a qualcosa» dice il conte Neri Capponi, presidente onorario dell´Associazione «Una Voce Italia» per la difesa della liturgia gregoriana. E´ vero che la tradizione tridentina, a Firenze, non si è mai interrotta del tutto. A San Francesco Poverino, in piazza Ss. Annunziata, la messa domenicale col rito di Pio V, concessa dagli indulti papali degli anni ‘80, è un´antica consuetudine, mentre l´Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote di Gricigliano (Le Sieci) è da anni riferimento internazionale della liturgia gregoriana. Ma si trattava, appunto, di enclave, eccezioni tollerate. La vera novità sono le comunità che adesso aspirano a una cittadinanza, quelle già esistenti e costrette a celebrare qua e là messe non ufficiali, e soprattutto le nuove. Come quella di San Gaetano, un´ottantina di fedeli fra cui il barone Giovanni Ricasoli Firidolfi, ma anche il presidente dei giovani giuristi cattolici Antonio Bellizzi, un consigliere comunale di Forza Italia di Vinci, e giovani laureati, impiegati, commessi, ceto medio qualunque. Non «nobiltà nera» in vena di revanche, insomma, sostiene il diacono Roberto Donati, «ma persone che semplicemente desiderano una liturgia più consona alla loro sensibilità». E chissà che «il ritorno al rito antico non nasca proprio dalle derive di improvvisazione seguite al Concilio». Certo è che il fermento tradizionalista sfida una linea pastorale ufficiale che, in Toscana, non sembra affatto favorevole al Motu Proprio. Al punto che c´è chi considera rivolta anche ai vescovi toscani la denuncia della Congregazione per il culto divino, che nei giorni scorsi ha tuonato contro la «crisi di obbedienza verso il santo padre», in atto «in alcune nazioni e diocesi». Già ad aprile, durante la visita ad limina, i vescovi toscani avevano consegnato alla Congregazione un testo approvato dalla Conferenza episcopale regionale contrario all´annunciato Motu Proprio, il quale, si sosteneva, avrebbe prodotto solo «confusione» pastorale. A Pisa, l´arcivescovo Plotti ha poi diffuso una nota in cui, sebbene il Motu Proprio per la prima volta attribuisca ai parroci la facoltà di dire messa col rito antico, ricorda che il referente ultimo resta pur sempre lui. I sostenitori del rito tridentino ne sono convinti: «I vescovi temono solo di perdere potere» sostiene il conte Marcello Cristofari della Magione, «di fronte a chi ora può finalmente contestare il ‘disagio liturgico´ cresciuto nelle loro diocesi». Ma in prima istanza, ad alimentare le resistenze è certamente la salda sensibilità «conciliare» della Toscana. E il sospetto, come avverte Plotti, «che dietro il vessillo di Pio V si nasconda un atteggiamento culturale di fondo, che si esprime nella fede, ma anche politicamente». Insomma, la pericolosa idea di una Chiesa che «corrotta» dal Vaticano II, si tratterebbe ora di far rientrare nella corretta dottrina. Negando il Concilio. Che però, in Toscana, oltre che fra i vescovi, ha messo ben salde radici. Come dimostra l´episodio avvenuto giorni fa in una chiesa del Chianti. Dove, al prete che mostrava come si celebra la messa in latino, spalle all´assemblea, un fedele ha chiesto preoccupato: «Ce l´hai con noi?». © Copyright Repubblica (Firenze), 21 novembre 2007